Il ruolo del Chief Information Officer si è evoluto notevolmente da quando negli anni 80 a questa funzione veniva affidata la pura gestione dell’infrastruttura IT e della sua efficienza. Oggi i CIO sono al centro della trasformazione aziendale, non solo in termini tecnologici ma anche come abilitatori di quelle soluzioni in grado di permettere all’organizzazione di crescere e rimanere competitiva.

In altre parole a loro viene affidata la responsabilità di allineareil mondo IT con gli obiettivi aziendali per supportare e facilitare l’organizzazione nella trasformazione digitale. Proprio questi cambiamenti richiedono che i CIO da un lato individuino, implementino e rendano accessibili le soluzioni e i tool digitali in grado di rendere l’azienda più efficiente e competitiva. Dall’altro che sia anche promotori dello sviluppo di una cultura dell’innovazione e data-driven all’interno dell’azienda, condizione indispensabile perché i nuovi supporti vengano utilizzati con impatti positivi sul business.

Uno studio di Forbes ha rilevato che le organizzazioni che utilizzano in maniera diffusai big-data registrano un aumento del fatturato del 41%. Ecco che quindi i CIO che mettono le aziende nella condizione di analizzare dalle transazioni dei consumatorial loro sentiment, forniscono in altre parole un vantaggio concreto e misurabile alle loro imprese in termini di fatturato ma anche di riduzione dei costi.

Per i Chief Information Officer, questa è un’ulteriore conferma dell’importanza di centralizzare i dati provenienti da fonti eterogenee. In questa direzione i data lake offrono una piattaforma flessibile e scalabile per archiviare e gestire grandi volumi di dati strutturati e non strutturati. Questo consente alle aziende di analizzare informazioni chiave in tempo reale e migliorare la capacità decisionale in vari ambiti, dal marketing alle operation, con un accesso rapido a dati grezzi e complessi che possono essere trasformati in insight significativi.

Tutto questo si amplifica ulteriormente quando i CIO operano in aziende che hanno una strategia di Customer Experience Management. Strategia abbracciata da un numero sempre più ampio di realtà che basano il proprio successo non sul prodotto e le classiche leve di marketing (pur rimanendo importanti) ma su come i propri clienti vivono il brand e hanno quindi l’obiettivo di ascoltarli per soddisfare al massimo le loro esigenze. Secondo Gartner, le organizzazioni che sfruttano i dati comportamentali dei clienti per orientare le proprie strategie possono aumentare la propria redditività fino al 15%.

Perché questa strategia liberi le sue potenzialità, è importante partire dalla comprensione e definizione dei cosiddetti Ideal Customer Profile e a seguire aggiornarli costantemente. Va precisato che a differenza del termine “cliente target”, spesso utilizzato per descrivere qualsiasi consumatore o utente che potrebbe acquistare un prodotto o un servizio, l’ICP si concentra sui clienti e i prospect più preziosi ovvero quelli che hanno maggiori probabilità di acquistare e di farlo nel tempo. 

Gli ICP vengono costruiti tramite analisi qualitative e quantitative,anche grazie a software di analisi predittiva, e seppure sono talvolta sottovalutati, sono un importante driver di una strategia successo dal momento che l’ICP racchiude i clienti che davvero spingono i risultati e che quindi vanno comprendersi in modo dettagliato.

Pensiamo, per esempio, a un CIO che collabora con il team commerciale. È essenziale per massimizzare i risultati che i dati demografici siano integrati con informazioni comportamentali, come interazioni passate con i prodotti, feedback, pattern d’acquisto e persino il ciclo di vita del cliente. Perché un cliente che interagisce frequentemente con contenuti su un sito, ma non converte, potrebbe richiedere un diverso approccio di engagement rispetto a chi ha già completato più acquisti. In questo senso, costruire buoni profili non significa solo accumulare dati, ma sapere quali dati contano e come utilizzarli per migliorare e rendere più efficace la comunicazione e la personalizzazione delle offerte.

In questa direzione è centrale sfruttare le API per connettere diverse fonti di dati. Essesono in grado di diventare il “collante” che permette alle diverse piattaforme di dialogare tra loro. Questo processo di integrazione automatizzata consente alle aziende di ottenere una visione più completa e dettagliata dei propri clienti, superando i classici silos informativi e riducendo la necessità di processi manuali che spesso rallentano il flusso di informazioni e portano a inefficienze.

Altro plus non trascurabile, è che man mano che le esigenze dei clienti evolvono e vengono introdotti nuovi touchpoint, le API possono essere aggiornate o sostituite senza dover rifare l’intera infrastruttura tecnologica. Questo tipo di flessibilità è cruciale per i CIO, che devono sempre trovare un equilibrio tra innovazione e continuità operativa.

Il ruolo di Axiante è far comprendere alle aziende che costruire buoni profili dei clienti significa partire da un ICP chiaro e ben definito, e poi perfezionarlo con informazioni continue e precise. E quanto ciò sia strategico: un profilo cliente ben strutturato e miratoinfatti non solo supporta decisioni aziendali più precise e puntuali, ma diventa anche il motore di una crescita efficace ed efficiente.

(di Dario Valsecchi, Senior Consultant di Axiante)

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